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Barletta PDF Stampa E-mail

Il viaggio nella Puglia dei castelli e delle cattedrali non può non iniziare da Barletta, città di antiche origini e di grande tradizione culturale, adagiata sul mare all’estremo Sud del golfo di Manfredonia. La città ha infatti origini antichissime e un passato di assoluto rilievo non solamente tra le città pugliesi. L’antica leggenda narra della fondazione della città da parte dei Bardei, popolo illiro migrato su queste coste nel IV secolo avanti Cristo. Oggi tuttavia sappiamo che il sito dovette essere abitato già in epoca daunia, anche se di un probabile piccolo centro abitato si possa parlare solo dal VI secolo in poi..
Da più di cento anni  il nome della Città è associato alla famosa Disfida tra tredici cavalieri italiani e tredici cavalieri francesi rievocata nel romanzo storico di Massimo D’Azeglio. Barletta ospita il Colosso, la statua che dopo mille cinquecento anni resta un mistero. Tra i suoi edifici si erge uno dei più importanti castelli di Puglia, uno dei più fortificati d’Italia ai tempi di Carlo V; e poi palazzi e chiese, in un itinerario ricco di sorprese.
Con i suoi circa centomila abitanti, Barletta è tra le maggiori città della Puglia e, insieme a Trani ed Andria, è capoluogo della provincia recentemente istituita.
Il centro storico, col suo districarsi di vie e piazzette, è un luogo molto frequentato dai barlettani. La sera in particolare e nelle ore notturne vede un movimento continuo di giovani in cerca di divertimento nei numerosi locali che si affiancano nelle vie interne. La città cambia letteralmente volto presentandosi come vera e propria meta per il divertimento estivo e luogo privilegiato di incontro. A favorire questa attrattività è anche la presenza di una spiaggia ampia e sabbiosa, sul litorale di ponente, frequentata anche nei mesi non estivi grazie ad un clima quasi sempre mite. Dalla riva si ammira il bel panorama del golfo di Manfredonia su cui si specchia il profilo del promontorio del Gargano.

Cattedrale
Visitando l’antico borgo incontriamo subito il duomo di Santa Maria Maggiore, di fronte al castello al quale rivolge il prospetto esterno dell’abside, su di una leggera altura che la fa ben scorgere dal porto per la fede e l’orientamento degli uomini di mare. Fu innalzata a partire dal XII secolo nel periodo in cui tutta la Puglia si ammantava della bianca pietra delle cattedrali romaniche. La chiesa si presenta come un organismo complesso, composto da due parti nettamente distinte, quella anteriore tipicamente romanica, e quella posteriore realizzata in forme gotiche. La chiesa, in realtà, è una sovrapposizione di diversi luoghi di culto, stratificatisi nel tempo: una basilica paleocristiana del VI secolo d.C.; una chiesa altomedievale del IX secolo più piccola della precedente. Infine la basilica romanico-gotica visibile ancora oggi.
Questa grande chiesa, costruita sui resti delle precedenti e intitolata alla Vergine Assunta, fu probabilmente iniziata ad opera del protomagister Simiacca e di suo figlio Luca intorno alla metà del XII secolo. Dello stesso periodo è l’alto campanile che si scorge da svariati punti del centro storico cittadino. Sulla facciata centrale un semplice portale neoclassico è affiancato da due portali laterali splendidamente decorati. Al centro il finestrone strombato riccamente scolpito con figure animali e vegetali e  l’ampio rosone che lo sormonta sono tra i più belli di Puglia.
La struttura interna della chiesa è simile a quella di altre cattedrali pugliesi. Composta di tre navate, quella centrale è sostenuta da sei colonne in granito nero di altezza e di diametro differenti fra loro. In questa parte della chiesa sono molto forti e visibili le influenze artistiche provenienti dall’Oltremare, raccontate anche dall’iscrizione su un capitello che testimonia un lascito di 200 ducati da parte di un certo Muscatus di ritorno dalla Terrasanta.
La parte anteriore della cattedrale, con soffitto a capriate, ha conservato l’aspetto romanico. La zona presbiteriale invece, iniziata nel XIV secolo per volere di alcune grandi famiglie barlettane e del miles Giovanni Pipino, ha volte a crociera costolonate su pilastri. Sull’altare maggiore vi è il ciborio in marmo lavorato da artisti legati alla Terrasanta.
Inoltre, grazie agli ultimi scavi, sono venuti alla luce, sotto il Duomo, i resti di una chiesa paleocristiana ancora più antica, tracce di pavimentazione a mosaico e di tombe del IV secolo a.C., oltre ad una più piccola chiesa del IX secolo d. C. Attualmente solo una parte di questo percorso è accessibile.
Nella Cattedrale di Santa Maria Maggiore si venera la Madonna Assunta, uno stendardo processionale dipinto dal modenese Paolo de Serafinis nel 1387. Si narra che i tredici cavalieri capeggiati dal Fieramosca abbiamo giurato prima del combattimento al cospetto di questa Madonna. E che i barlettani, alla notizia della vittoria degli italiani sui francesi, abbiamo portato in processione solenne la Madonna ad accogliere i cavalieri alle porte della città.
Ma Barletta festeggia due volte all’anno la sua patrona, la Madonna dello Sterpeto, un’icona bizantina ritrovata tra gli sterpi della campagna barlettana, ogni anno raggiunge la città dal suo santuario fuori le mura in due occasioni: durante il mese di maggio, in cui sosta nella Cattedrale, in modo da poter essere visitata dai barlettani; e alla seconda settimana di luglio, quando si celebra la festa patronale dedicata a Maria e all’altro patrono di Barletta, San Ruggero vescovo di Canne. I barlettani attendono queste due ricorrenze tutto l’anno. Essi riservano alla propria patrona onori e festeggiamenti, con funzioni liturgiche e pubblicazioni. Ma attesissimi sono anche il grande luna park che sosta per quasi un mese in città e gli spettacoli pirotecnici che si svolgono durante le notti dedicate ai festeggiamenti.

Via Duomo e Chiesa del Santo Sepolcro
Proseguendo lungo via Duomo si scorge Palazzo Bonelli, splendido esempio di gotico angioino con una facciata a bugnato, tratto distintivo dei palazzi barlettani, ricordati nelle loro cronache dai pellegrini che viaggiavano verso la Terrasanta. Barletta è detta inoltre la città delle 100 chiese perchè, ancora oggi, conserva un numero altissimo di chiese e conventi, segno inequivocabile della propria ricchezza e del proprio passato.
A ricordare l’antica vocazione di Barletta come porto privilegiato di pellegrini e  crociati verso la Terrasanta è soprattutto la basilica del Santo Sepolcro. Sorge alla confluenza di due strade, Corso Garibaldi (l’antica via della Selleria) e Corso Vittorio Emanuele (via della Cordoneria), una verso l’antica potenza di Canosa  e l’altra verso Siponto, porto romano collegato alla via francigena dei pellegrinaggi.
La chiesa, così come la vediamo oggi, venne edificata tra i secoli XII e XIII sui resti di un precedente edificio romanico, trasformato nelle forme dell’architettura gotica. Il portale laterale ha mantenuto gli elementi gotici. Sui muri esterni sono presenti delle arcate cieche anch’esse ogivali, mentre dell’originario campanile, distrutto dal terremoto del 1456, rimane solo il basamento.
L’interno, in tre navate,  è preceduto da un vestibolo separato dal resto tramite una arcata, dove si trova il fonte battesimale. Le forme architettoniche sono tipicamente cistercensi. Sul presbiterio si apre la cupola a otto spicchi, dalla struttura arabo-bizantina.
Il tesoro della basilica  è costituito da preziose opere d’arte portate a Barletta dalla Palestina tra le quali il magnifico breviario di Gerusalemme del XIII secolo che contiene una cronaca delle imprese dei cavalieri crociati dal 1097 a 1202. Fu donato alla città forse da Randolfo, patriarca di Gerusalemme. Inoltre una colomba eucaristica smaltata del 1184, un ostensorio gotico di argento e cristallo di rocca, un'urna a piramide quadrangolare di metallo smaltato del XIII sec. e, più importante di tutti, un frammento della Vera Croce di Gesù Cristo conservato in una stauroteca in argento e smalti. Questa croce patriarcale è ancora oggi venerata dai barlettani durante una delle due processioni del Venerdì Santo.

Il Colosso
Sul fianco sinistro dell’edificio, come un possente guardiano, incrociamo lo sguardo vigile del Colosso. Per i barlettani Arè è il modo affettuoso con cui, in dialetto, indicano Eraclio, l’imperatore bizantino che pensano raffigurato in questa statua colossale in bronzo. È il simbolo della città pugliese, un gigante buono dell’altezza di cinque metri e venti centimetri. Nulla è certo in realtà sull’identità del personaggio e sulla storia della provenienza della statua. Sono note molte leggende che descrivono il colosso come difensore della città contro le scorribande saracene. Si narra che il gigante si mostrò in lacrime ai saraceni lamentandosi di essere stato cacciato dagli abitanti della città perché ritenuto da questi troppo gracile e mingherlino. La cosa ovviamente impaurì gli invasori che repentinamente ripresero la via del mare.
Circa l’origine della statua, alcuni ritengono molto probabile che essa abbia fatto parte del ricco bottino che i veneziani portarono via durante il saccheggio di Costantinopoli nel 1204. Per la sua postura da imperatore cristiano e i lineamenti bizantini si è pensato  ad Eraclio I (610-641). Oggi tuttavia sembra prevalere la tesi della sua identità con Teodosio II (401-450).

Teatro Curci
Tra gli edifici di maggior pregio della città, proseguendo lungo corso Vittorio Emanuele, vi è sicuramente il teatro Curci, uno tra gli esempi più belli del neoclassico pugliese.
Intitolato a Giuseppe Curci, musicista barlettano, fu ideato all’inizio dell’800. Era un periodo in cui Barletta, capoluogo di distretto, era una tra le più importanti città del regno di Napoli. L’edificio, sorto su una precedente costruzione, si deve all’ingegnere Nicolò Leandro. Nel 1864, un cedimento costrinse a rimetterci mano. E così, l’architetto Santacroce  ridisegnò il progetto, ampliandolo, su modello del teatro San Carlo di Napoli. Il teatro, con la sua platea e i quarantotto palchi, è arricchito da dipinti e decorazioni e rivestito di velluto e moquette.Ospita circa 500 spettatori con un programma di rappresentazioni annuali ricco di musica e prosa.

Palazzo Della Marra
Tra i palazzi che appaiono con sensazioni di imprevisto stupore vi è “Palazzo della Marra”, sull’attuale via Cialdini (un tempo via delle carrozze) dall’adornato portale barocco con raffigurazioni scolpite della Vecchiaia e della Giovinezza. Cinque mensole con mostri, cani e grifi sostengono un monumentale balcone. É l’edificio più scenografico della città. All’interno, su di un ampio cortile si affacciano le decorate logge con cui terminano le scalinate di accesso ai piani superiori. Anche queste, tutte decorate nelle volte, con pitture a temi allegorici. Il palazzo è sede della prestigiosa Pinacoteca De Nittis
La Pinacoteca è uno dei più importanti luoghi d'interesse artistico di tutta la Puglia e conserva al secondo piano tutti i quadri del celebre impressionista barlettano Giuseppe De Nittis. 
Giuseppe De Nittis, nacque a Barletta il 25 febbraio 1846. Alla fine del 1861 si iscrisse all’istituto di Belle Arti di Napoli. Scoperto dal famoso critico d’arte Adriano Cecioni, entrò nel 1886 tra i Macchiaioli fiorentini. Accanto alla consorte Lèontine, il letterato Edmond De Goncourt e Alessandro Dumas figlio, che dettò la celebre epigrafe che ancora oggi si legge sulla sua tomba nel cimitero Père Lachaise a Parigi: “Qui giace il pittore Giuseppe De Nittis, morto a 38 anni in piena giovinezza, in pieno amore, in piena gloria, come gli eroi e i semidei”. 
Al primo piano, invece, ospita periodicamente mostre d'interesse internazionale. Il palazzo è il luogo ideale per manifestazioni culturali che tra musica e recitazione donano atmosfere di grande fascino e stimolando l’interesse di folle di visitatori.
La raccolta delle opere pittoriche e grafiche di Giuseppe De Nittis, visitabile nella Pinacoteca è giunta nella città natale dell’artista nel 1914, in seguito alle volontà testamentarie della vedova Léontine Gruvelle. Dopo la morte di De Nittis, avvenuta nel pieno dell’affermazione artistica, Léontine fu costretta a lasciare la loro casa e a vendere alcune opere che Giuseppe aveva acquistato o che gli erano state regalate dagli amici Degas, Manet, Morisot. Ma  conservò gelosamente tutto ciò che portava la firma di De Nittis, convinta del valore dell’arte del marito. Ella affidò alla città di Barletta il patrimonio d’arte da lei custodito.
Poco più avanti  spicca la  mole  della chiesa di San Paolo con il convento del Monte di Pietà, concesso alla fine del ‘700 ad una confraternita da re Ferdinando di Borbone col compito di educare  le fanciulle orfane. Il seicentesco collegio, costruito dai Gesuiti, è disposto su due piani con dodici grandi finestre ed è affiancato sulla sinistra da una bellissima chiesa barocca.
Da visitare sulla stessa strada sono anche le chiese di San Ruggero, con il ricco tesoro, e quella di Santa Maria della Vittoria.

Cantina della disfida
La cantina della Sfida nella quale, secondo il racconto scritto da Massimo D’Azeglio, si accesero gli animi dei cavalieri, sorge all’interno di un palazzo quattrocentesco. Il racconto così come rievocato già nei nostri ricordi di scuola fu romanzato da Massimo D’Azeglio nel 1833 per contribuire a fondare il mito della nascente Europa risorgimentale.
Barletta, nel ‘500, era una città ricca e potente, frequentata da mercanti e nobili provenienti da molte parti d’Europa. Come molte altre città vicine, essa era occupata dalle truppe spagnole che in nome del sovrano Ferdinando II di Spagna si contendevano il territorio con i francesi che occupavano altre città pugliesi. Nel 1502, Luigi D’Armagnac, duca di Nemours, assunto il titolo di viceré di Napoli, collocò una guarnigione a Canosa Puglia e a Minervino Murge, comandate da Pierre du Terrail, signore di Bayard.
Consalvo da Cordova, a capo dell’esercito spagnolo, si insediò a Barletta,che divenne il centro strategico per controllare il territorio. Nel gennaio del 1503 lo spagnolo Diego de Mendoza, con alcuni soldati spagnoli e italiani, fece prigionieri Charles de la Motte e si suoi militari e li condusse a Barletta.
Com’era d’uso all’epoca, i francesi parteciparono ad un banchetto in loro onore, nella cantina dell’oste Veleno, l’attuale Cantina della Sfida, durante il quale accusarono gli italiani di essere dei codardi e vigliacchi. Gli italiani non accettarono gli insulti e così  decisero di difendere l’onore ferito e di sfidare i francesi a duello.
I cugini Prospero e Fabrizio Colonna, individuarono tredici cavalieri coraggiosi provenienti da diverse zone d’Italia, comandate dal valoroso Ettore Fieramosca da Capua, già distintosi nelle precedenti battaglie.
La mattina del 13 febbraio 1503, dopo aver pregato e giurato di fronte a Consalvo da Cordova di combattere fino alla morte, i tredici cavalieri , si trovarono con i francesi, guidati da La Motte, in un campo neutrale, nell’attuale contrada Sant’Elia, tra Andria e Corato. Lo scontro durò dall’alba al tramonto e gli italiani ottennero la vittoria.
Riscattato l’onore, i cavalieri italiani tornarono a Barletta accolti trionfalmente da Consalvo da Cordova, dai principi Fabrizio e Prospero Colonna e festeggiati dal popolo.
L’episodio non fu mai accettato dai francesi tanto che, quando quest’ultimi, nel 1805 occuparono il Napoletano, distrussero il monumento eretto in contrada S. Elia che ricordava la vittoria degli italiani. L’epitaffio fu poi restaurato nel 1846.
Il pittoresco episodio ha dato spunto a numerosi artisti che lo hanno rappresentato nelle varie espressioni, dalla pittura al dramma storico. Ricco è anche  il repertorio del teatro delle marionette e dei cantastorie. Molto seguita è la rievocazione in costume che ogni anno, a fine estate, si tiene nell’ampio fossato del Castello.

Castello
Proprio il castello colpisce con la maestosità della sua costruzione in pietra. Dai Normanni agli Svevi, dagli Angioini agli Aragonesi, hanno tutti messo mano a quello che oggi appare tra i più formidabili esempi di costruzione militare cinquecentesca. Ma il castello è il risultato della sovrapposizione di più strutture. Testimonianze della presenza di un fortilizio si hanno a partire dalla fine del XII secolo, periodo in cui alla dominazione normanna segue quella sveva. E infatti nel 1228 Federico II di Svevia vi convocò vescovi e dignitari per organizzare il governo dell’impero durante la sua assenza dovuta alla partenza per la V Crociata, che fu annunciata in città e che proprio dal porto cittadino prese la via del mare. Di quel castello è visibile ancora oggi parte della struttura nel cortile interno. Successivamente gli Angioini lo vollero ampliare e ammodernare ulteriormente, e recenti scavi ne hanno riportato alla luce parte delle strutture. Ma è a Carlo V che  si deve l’ampliamento della struttura originaria, la costruzione dei bastioni, la realizzazione di casamatte (depositi di armi ed esplosivi) le gradinate e il fossato. Lo stemma dell’imperatore campeggia sopra il portale insieme ad una epigrafe del 1537. Una vera e propria macchina da guerra contro le scorrerie nemiche, una delle fortezze più grandi nell’Italia del tempo; una fortezza inespugnabile con suggestivi percorsi sotterranei, cisterne, forni, camminamenti di ronda lungo il perimetro superiore delle ampie mura di cinta. Singolare il ponte di accesso in pietra con una parte in legno che un tempo era levatoio sul fossato.
La prova più dura che la fortezza dovette superare fu però il cannoneggiamento  subito per le armi della corazzata austriaca Helgoland. Era il 24 maggio 1915 durante il primo grande conflitto mondiale. Già dal 1876 il comune aveva acquistato il castello in un’asta per la cifra di 30 mila lire. All’interno una raccolta di antiche insegne araldiche in pietre, bassorilievi e colonne miliari romane. Ma l’oggetto più interessante e senza dubbio il busto in pietra  raffigurante l’imperatore Federico II di Svevia, ritrovato diversi anni fa nelle campagne circostanti la città. Nella stessa raccolta alcuni capitelli, decorazioni e un bassorilievo di origine tardo imperiale romana a carattere religioso, con la rappresentazione dei dodici apostoli.
Barletta conserva altri splendidi monumenti. Bellissime sono le chiese di San Giacomo, sulla via per Siponto, e di Sant’Andrea, con la Deèsis di Simone da Ragusa scolpita sulla facciata nel XIII secolo. All’interno la chiesa conserva uno dei patrimoni artistici più importanti di Puglia. Su tutti la Madonna col Bambino dipinta nel 1487 da Alvise Vivarini e le splendide tele di Cesare Fracanzano e Francesco De Mura. Sull’altare maggiore è inoltre incastrato un bel crocifisso ligneo del XV secolo.
Addentrandosi nelle stradine del centro storico si giunge inoltre alla chiesa di Santa Maria degli Angeli, detta dei Greci, testimonianza della presenza dei monaci Greci sfuggiti alla conquista turca dell’impero Bizantino conclusasi nel 1453. Al suo interno è conservata una delle due sole iconostasi di Puglia, muro di icone dipinte con la rappresentazione del Cristo, della Vergine e di numerosi santi tipico delle chiese e del rituale ortodosso. Le icone della Madonna e del Cristo Pantocratore furono dipinte nel XVI secolo dal cretese Thomàs Bathàs, attivo in tutto il Mediterraneo e in particolare a Venezia.

Fiume Ofanto
A pochi Km dalla città scorre uno dei fiumi più lunghi del meridione: il fiume Ofanto.
Il territorio ci appare oggi come una distesa di campi coltivati principalmente a vigneto e alberi di ulivo. Il corso d’acqua è raggiungibile percorrendo stradine spesso sterrate e vecchi tratturi della transumanza. Proseguendo poi a piedi, attraversando una florida vegetazione tipicamente fluviale ci appare improvvisamente il fiume dalle acque tranquille e brulicanti di vita. Se ci si ferma in silenzio per qualche secondo si possono ascoltare i suoni di molte specie di uccelli e vedere diversi tipi di anfibi e il guizzare a tratti di pesci al di sopra del pelo d’acqua. La presenza di acqua fluviale è una vera rarità in Puglia. Il fiume scorre sotto una folta vegetazione. L’Ofanto percorre un lungo tratto attraverso la Campania, la Basilicata e la Puglia per giungere fin qui. Ha origine in Campania nei pressi di Torella dei Lombardi. Nei pressi di Canosa ancora oggi si può ammirare lo splendido ponte romano che ne solca il corso.
É un dono prezioso che giunge da lontano e che qui contribuisce ad arricchire un paesaggio rurale di particolare bellezza. Lo sapeva il pittore Guseppe de Nittis che proprio sulle sponde del fiume ha tratto ispirazione per i suoi colori. Pensiamo al dipinto Lungo l’Ofanto ed altri dipinti ove emerge prepotente la sua tavolozza cromatica. Queste non sono coincidenze; questi sono i colori di molte sue opere. Il pennello dell’artista è intinto nella campagna barlettana.
Oggi il bacino del fiume Ofanto è stato dichiarato parco regionale. un avvenimento importantissimo, perchè consentirà finalmente di tutelarne l’ambiente circostante. Il fiume è stato infatti per lungo tempo attaccato dalla violenza dell’uomo, che ne ha sfruttato le acque e spesso vi ha riversato ogni genere di rifiuto. Oggi il fiume è tuttavia in condizioni di parziale ripresa e alcuni dei bacini che si aprono lungo il suo tragitto sono degli spettacolari invasi di natura incontaminata.
La vegetazione che ne segue il corso, per lo più graminacee alofite, fragmiteti, canneti, pioppi, noci, saliceti, tamerici, è fittamente popolata da uccelli e animali di ogni razza: dagli invertebrati ai mammiferi. L’Ofanto è dunque oggi uno dei più bei fiumi del Mezzogiorno e scorre lungo un territorio ricco di storia e di tradizioni.

Canne
Nei pressi del fiume sorge il sito archeologico dell’antica città di Canne, che oggi si presenta come un’area ben attrezzata ed accogliente. Un Antiquarium che precede l’area di scavo mostra una collezione di oggetti di età peucezia, daunia, greca e romana fino a oggetti di età medievale ritrovati nel sito. Del periodo arcaico-classico sono esposte alcuni elementi architettonici in terracotta e alcuni vasi rinvenuti nelle tombe di canne e dei vicini sepolcreti di Fontanella e Pezza la forbice. Tra gli altri reperti di  pregio, un elmo corinzio in bronzo, una vera rarità. Notevoli anche i reperti di età bizantina con monili in argento e bronzo decorati a filigrane globulari e una croce reliquiario. Interessante anche una “spata” una cintura probabilmente appartenuta ad un guerriero longobardo.
Il luogo quindi fu frequentato già a partire dal V millennio a.C.
Una bella salita alberata ci conduce sulla leggera altura ove sorgeva la cittadella. E’ da sottolineare che buona parte dei resti visibili attualmente sono testimonianza della Canne medioevale. Infatti la città venne nei secoli più volte ricostruita e i vari strati si sono sovrapposti celando i sottostanti anche se proprio recentemente nei pressi della collina di San Mercurio, adiacente a quella della cittadella, uno scavo ha cominciato a recuperare i resti di una villa romana forse della prima età imperiale e delle sue strutture adiacenti. É questo un momento importantissimo per ricostruire la continuità insediativa dell’intera zona.
La cittadella medioevale di cui si osservano le mura e  i resti di un fortilizio proprio all’inizio dell’itinerario ha sepolto i livelli di epoca romana. Ancora oggi la zona archeologica non è stata completamente scavata e potrebbe celare segreti e ricchezze tutte da visitare. Nella parte scavata sono visitabili i resti dell’antica Cattedrale, una basilica paleocristiana a due livelli, con una cripta interessantissima. La struttura della città medievale ha mantenuto le origini romane, e si sviluppa su due strade perpendicolari (cardo e decumano), alle quali si affiancano numerose vie ricche di fascino. Girare per Canne oggi significa immaginare le strade popolose di una città operaia, ricca di botteghe di artigiani e di mercanti, con magazzini per la vendita di carne, verdure e frutta. Tutto ciò in un’atmosfera da sogno, su una collina dalla quale si gode un panorama stupefacente, circondata dalle città di Barletta, Canosa, Margherita di Savoia. Canne mantenne la sua funzione di avamposto militare fino alla battaglia che ne sancì la distruzione quasi completa, ad opera delle truppe di Roberto il Guiscardo, nel 1083.
Nei pressi della collina, bella è la zona di San Mercurio e la fontana di San Ruggero, una fonte del XI secolo dalla quale zampilla un’acqua freschissima, di ristoro per i numerosi turisti e visitatori che raggiungono la collina in bicicletta.

Sulle tracce di Annibale: La battaglia di Canne
Ma il motivo per il quale Canne è ricordata in ogni parte del mondo è sicuramente dovuto alla battaglia che, durante la seconda guerra punica nel 216 a.C., coinvolse i romani dei consoli Gaio Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo e i cartaginesi di Annibale.
Fu uno scontro epico, con più di 100.000 soldati coinvolti e un numero di morti forse superiore a 60.000. La battaglia si svolse sotto la collina della città, nei pressi del fiume Ofanto.
Annibale fece in modo da favorire inizialmente l’attacco romano. Ma contemporaneamente accerchiò le truppe romane dalle ali (i lati dello schieramento romano) quasi con una manovra a tenaglia. Ciò provocò gradualmente lo sfaldamento dell’esercito romano che dovette soccombere in una delle più gravi sconfitte della storia di Roma.
Oggi della storia della battaglia non rimane quasi nulla. Il corso dell’Ofanto, cambiato diverse volte nel corso dei secoli, potrebbe avere definitivamente seppellito i resti dei romani morti lungo le sue sponde. I romani usavano inoltre cremare i propri morti. Questo può essere un altro motivo della impossibilità di ritrovare resti che ricordino quella incredibile sconfitta.
Tuttavia ancora oggi si possono immaginare gli echi delle grida e del risuonare delle armi semplicemente affacciandosi dalla collina di Canne, che guarda a tutto il corso dell’Ofanto e ne sovrasta la valle.

 


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